venerdì 23 dicembre 2011

Spinning around a Ten... in 2011

Eccovi la mia personalissima lista e, badate, non classifica, dei dieci dischi che ho avuto il piacere di ascoltare più è più volte quest'anno, senza che questi siano rusciti a venirmi a noia. Li ho ascoltati al punto che loro hanno smesso di girare e ho iniziato a farlo io attorno a loro. Ascolti a rotazione, appunto. Le classifiche ho iniziato ad odiarle da un bel pezzo. Quando si parla di musica (ma non  solo) cosa o ti piace o non ti piace, non c'è graduatoria che tenga!

Questi dischi mi sono piaciuti. E basta.



I Marta Sui Tubi con il loro Carne Con Gli Occhi riescono a confezionare uno dei dischi italiani più interessanti dell'anno. Una garanzia nel panorama musicale indipendente del nostro paese. Testi come sempre molto impegnati, poetici e geniali interpretati da un Giovanni Gulino campione mondiale di scioglilingua. Roba da far impallidire qualsiasi rapper, e con una padronanza della melodia che lascia di stucco. Il resto della band non è da meno e riesce a confezionare un disco molto semplice di primo acchito, che però all'orecchio attento dell'ascoltatore risulterà suonare in maniera impeccabile e con molto, molto talento da parte dei musicisti che pur essendo in tre, fanno il lavoro di mille. [PROVARE PER CREDERE]

Che i Foo Fighters fossero una macchina da guerra in ambito rock lo si sapeva già, ma, nonostante il loro successo planetario, i loro milioni di dischi venduti, i loro numerosi successi commerciali, in pochi si sarebbero immaginati un lavoro del genere. Completamente registrato in analogico su bobina, senza l'aiuto di computer o apparecchi digitali nel garage di Dave Grohl, Wasting Light, oltre ad essere un lavoro molto ambizioso che si avvicina tantissimo all'essenza di un genere che in molti danno per morto da decenni, non fa assolutamente rimpiangere i capitoli precedenti della band. [RIUSCITISSIMO] 

Devo ammetterlo, il mio primo parere sull'ultima fatica dei Verdena, WOW, non era proprio lusinghiero. "Troppo prolisso, troppi riempitivi, troppa carne sul fuoco"... ma, sapete, si può cambiare idea. E io l'ho cambiata! Questo disco è si troppo lungo per i miei gusti, ma assolutamente ben fatto. Un doppio CD/LP molto ambizioso per la band bergamasca, ma che riassume tutta la loro essenza pop rock con alcuni brani molto delicati e intimisti e altri decisamente più hard con una batteria che non ti molla un attimo e linee di basso assassine. Devo ammettere di aver cambiato idea sul lavoro nel momento in cui sono riuscito ad ascoltare il tutto su vinile, tanto da pensare che sia stato concepito e prodotto appositamente per questo tipo di supporto. Il suono guadagna parecchio rispetto alla versione su CD. [RIVALUTATI]

I Social Distortion per me sono 'LA' certezza. Mike Ness e soci son sempre stati famosi per i loro tempi biblici in materia di pubblicazioni, ma al tempo stesso sai benissimo che fra le mani non puoi non avere altro che un disco che non ti pentirai mai di aver comprato. Hard Times and Nursery Rhymes colpisce nel segno, amore fin dal primo ascolto! Un mix di punk, rock 'n' roll e blues che si fa ascoltare con estremo piacere e con nessun motivo per skippare una canzone in favore ad un'alta. Si ascolta tutto d'un fiato. E con gli occhiali da sole, ovvio! Piccole conferme. [NECESSARIO]

Quando pensi che il cantautorato italiano sia ormai morto, ecco che arrivano "I" Paolo Benvegnù che con il loro ultimo disco ti prendono per mano e ti portano nel magico mondo di Hermann. Nonostante ai più siano sconosciuti, quella di cui stiamo parlando è una delle migliori realtà musicali al quale il nostro paese abbia dato i natali. Testi magnifici, melodie che ti si piantano in testa come se niente fosse e una voce, quella di Paolo, che è di un bello che commuove. Peccato sia conosciuto da pochi, che le radio lo snobbino e che il nostro sia un paese dove se non sei il Vasco 'cliché' Rossi di turno non sei nessuno. [IMPRESCINDIBILE]

Senza John Frusciante li davano per spacciati, ma con I'm With You i Red Hot Chili Peppers son tornati alla ribalta con un disco molto atteso che riporta un po' di curiosità  all'ascoltatore che dopo gli ultimi due lavori li aveva un po' abbandonati per concedersi ad altri lidi musicali. Siamo di fronte a un buon disco pop rock con molte di quelle sfumature funk che son state per anni il loro marchio di fabbrica, quello che te li faceva riconoscere subito, fin dai primi secondi d'ascolto, e con un chitarrista nuovo, Josh Klinghoffer, che porta una ventata d'aria fresca nel repertorio musicale dei peperoncini. Non il loro miglior lavoro, ma di sicuro il più ispirato dopo Californication del 1999. [CHI NON MUORE SI RI-SENTE]

Con  gli Incubus avevo chiuso da parecchio tempo per causa di forza maggiore, ma con la loro ultima fatica in studio, If Not Now, When? son tornati a far breccia nel mio cuore. Un disco molto pacato quello della band di Brandon Boyd che ti fa pensare al repentino cambio di direzione musicale. Fin  dal primo pezzo, la title-track, si capisce che i tempi in cui facevano del crossover il loro marchio di fabbrica son finiti. Persino Chris Kilmore è passato dall'essere il DJ a l'essere il polistrumentista della band. Undici tracce di buon pop rock suonato in maniera impeccablie, come solo i cinque californiani sanno fare. [RITORNO DI FIAMMA]

Dopo ben tre scioglimenti e altrettante reunion, ecco riapparire di nuovo la band che ha tra i fondatori l'inventore del festival più fico dell'universo: il Lollapalooza. Tornano i Jane's Addiction signori, e lo fanno con un disco, The Great Escape Artist. Undici tracce che fanno tutto tranne che ricordarti il tempo che fu e cosa son stati i quattro musicisti di L.A. sul  finire degli anni '80. Niente funk,  niente violenza e  niente surf.  A parte la copertina del disco, al nome della band siamo di fronte a un disco che  con il sound che ha reso storici i nomi di Perry Farrell, Dave Navarro e Stephen Perkins non c'entra nulla, ma che comunque riesce a piacere perché, nonostante le premesse, questi tre sanno ancora fare buona musica. [PRESCINDIBILI, MA CON LE PALLE]

Che gli Oasis mi siano sempre stati sulle balle è un fatto noto, ma che tra i due fratelli Gallagher io abbia comunque sempre amato quello buono non c'è dubbio alcuno. Quando ho saputo del progetto Noel Gallagher's High Flying Birds ho fatto i salti di gioia. Ho sempre sognato un disco intero scritto e cantato da Noel, la vera anima compositiva della band di Manchester. Appena uscito nei negozi, mi son fiondato a comprare questo lavoro e fin dal primo ascolto ho capito che finalmente si iniziava a ragionare. Non è un disco semplice, non mi ha fatto impazzire fin da subito, ma ha avuto la capacità che solo i migliori lavori possono avere: è cresciuto di ascolto in ascolto. [LA SPERANZA E' SEMPRE L'ULTIMA A MORIRE]

Quest'anno è stato anche l'anno delle scoperte tardive e, in questo caso, il gruppo che esiste da almeno un decennio ma del quale scopro l'esistenza solo ora, è quello dei The Black Keys. Con un singolo  passato in ogni radio come Lonely Boy, sarebbe stato difficile non accorgersi di loro questa volta... e infatti è stato proprio così che ci ho sbattuto contro il muso. El Camino è un disco inaspettato e travolgente per quanto mi riguarda e, se posso, vi consigliere di comprarlo in formato LP e di seguire il consiglio riportato sul bollino adesivo in copertina. [PLAY LOUD!]

lunedì 12 dicembre 2011

C'è chi è nato per star zitto, c'è chi è nato per subire.

Agli Zen Circus ci arrivi, se ci arrivi, più o meno per tre motivi:

- sei Pisano e li segui dagli albori, quando suonavano alla festa delle medie e ti vanti di conoscere tutti i loro testi in iglese a memoria;
- sei un fanatico o comunque informato quando si parla di movimento indie italiano e quindi, per un motivo o per un altro, ci hai sbattuto il muso per forza di cose;
- ti sei imbattuto poco tempo fa nel loro precedente CD nel tuo negozio di fiducia e ti ha incuriosito il titolo tanto da non resistere e comprarlo.

In ogni caso non ci arrivi grazie ai canali mediatici, non se li caga nessuno. Ma se ci arrivi... be', se ci arrivi ne rimani folgorato. La band ha un sound molto asciutto e basico e dei testi che solo un sordo-scemo non amerebbe. Cinici e carichi di ironia, ogni canzone è un'aspra critica nei confronti della società ottusa, borghese, perbenista e cattolica che contraddistingue il nostro paese. Ecco, questo era il loro disco precedente, Andate Tutti Affanculo, e fin qui ci siamo. Ora invece siamo di fronte ad un nuovo lavoro in studio, il loro settimo disco, il secondo interamente scritto, cantato e interpretato in italiano.

Uscito l'ottobre scorso, Nati Per Subire non si discosta dal precedente lavoro più di quel tanto; nessun cambiamento radicale, anzi, se di radici dobbiam parlare, facciamolo dicendo tranquillamente che questo è il proseguimento naturale del precedente lavoro in studio: un modo di suonare molto basico (ok, ho detto anche asciutto prima), sempre cinici e con canzoni cariche di ironia e piene di aspre critiche nei confronti della società ottusa, borghese, perbenista e cattolica che ci circonda. Niente di nuovo sotto il sole, ma non per questo il disco non ha spessore e non riesce a convincere, anzi, lo fa... lo fa eccome. L'unica differenza, se proprio vogliamo dirlo, è che ci si accorge che i ragazzi son stati 'notati' dalle persone giuste, e con persone giuste mi riferisco agli omini del mixer che hanno arricchito (non di molto) la produzione che, rispetto al precedente, si fa un po' cicciotta grazie agli svariati contributi artistici di (in ordine, cito da Wikipedia) Ministri, Enrico Gabrielli, Giorgio Canali, Alessandro Fiori, Nicola Manzan e Il Pan del Diavolo.

Insomma, un salto di qualità anche se proprio proprio salto non è.... diciamo pure che si stan facendo una bella passeggiata seguendo il naturale corso delle cose. E che cose!

Ascoltateli e, perché no, vergognatevi un pochino per non averlo fatto prima.
Solo un po'.

sabato 10 dicembre 2011

L'oro sul soffitto.


Perché se si ha poco da dire, di solito, c'è sempre molto... molto da ascoltare.

giovedì 8 dicembre 2011

giovedì 1 dicembre 2011

Il mio tasto dolente. Uno dei tanti.

Devo ammetterlo e fare una sorta di mea culpa. Negli ultimi anni molti dei miei ascolti si sono un po' limitati al "questo lo conosco e quello che ha fatto mi è quasi sempre piaciuto, vado sul sicuro" e, come ben saprete, questo modo di ascoltare la musica ha degli effetti collaterali. Uno è quello che, in acuni casi, porta a far si che le aspettive ti si rivoltino contro come un cane incazzato, l'altro è che così facendo ti perdi quelle che sono le novità succulente del panorama musicale contemporaneo. Parliamoci chiaro, i The Black Keys non sono certo la band dell'ultimo momento, anzi. Il duo proveniente dall'Ohio, che ai più - per il binomio chitarra/voce e batteria - farà venire in mente i White Stripes, è in giro da quasi dieci anni e all'attivo ha ben otto dischi e svariati EP. Troppo preso dai miei ascolti facili facili, me li sono persi completamente. Per dieci anni, appunto. Avevo sentito parlare più che bene del loro precedente lavoro in studio (Brothers, del 2010), ma stupidamente mi son lasciato scappare l'opportunità di conoscerli già da allora.

Caso voglia che in radio - anche loro STRANAMENTE distratti come me - si siano accorti solo ora di questa band e che nelle loro playlist ci sia finito il loro ultimo singolo, Lonely Boy, e che sia ormai da settimane in heavy rotation su svariati network nazionali. Siamo di fronte a un gran bel pezzo, nonché a un'altrettanto ottima selezione di brani, che mi ha subito colpito molto, soprattutto per le parti di chitarra e il sound particolarmente grezzo, trascinante e con echi quasi cinematografici. Sfido chiunque di voi ad ascoltare questo lavoro e a non immaginarsi una qualsiasi fra le canzoni che compongono questo disco compresa nella tracklist di una colonna sonora di un qualsiasi film di Tarantino o affini. Questo particolare, durante l'ascolto, mi ha ricordato il paragone dell'amico Ale che li ha definiti i Queens of the Stone Age 2.0 (un'altra band che personalmente reputo molto cinematografica). Dal canto mio questo suo pensiero l'ho inteso come un "Questa sarebbe potuta essere la band di Josh Homme se non si fosse fumato il cervello" e, anche se (sicuramente) non è quello che intendeva dire, è quello che comunque viene da pensare a me, uno che ha amato alla follia l'uomo delle storiche Desert Session e che oggi scopre una band di questo calibro.

In sitesi, con questo El Camino quello che abbiamo tra le mani è un disco di undici pezzi di ottimo rock'n'roll, con un suond decisamente 70's, che però non sa per niente di vecchio o di già sentito. Promossi e consigliatissimi.