mercoledì 26 ottobre 2011

Alte aspettative, alte come uccelli in volo.

Era più o meno il 1995, io avevo dieci anni e quel pomeriggio ero in macchina con mio zio. Nello stereo girava un gran bel CD.

Le cose che ricordo e mi piace ricordare di quel periodo sono proprio i momenti di estrema serenità emotiva e i primi veri ascolti, che fossero radiofonici (in quel periodo, per esempio, nacque la passione per Radio Deejay) o meno. Lui, mio zio, era ed è un fedelissimo dell'alta fedeltà e in tutte le macchine che ha avuto non è mai mancato un impianto stereo di tutto rispetto. Lo stesso in casa, ha tutt'ora quell'impianto e quelle bellissime e potentissime casse che gli invidiavo allora e che gli invidio ancora oggi a distanza di anni. Ai tempi, grazie a lui e alla sua passione, conobbi i Depeche Mode di Violator, gli U2 di Zooropa, i Radiohead di The Bends, ma soprattutto gli Oasis di (What's the Story) Morning Glory. Quest'ultimo grazie al giro in macchina di quel pomeriggio. Col tempo lui ha continuato ad appassionarsi sempre più al modo con cui ascoltare musica e un po' meno al supporto, ed io, al contrario, ho iniziato ad affinare i miei gusti e a ricercare gruppi da ascoltare e dei quali invaghirmi rovinosamente. Nel '95, appunto, in radio impazzava il singolo Wanderwall e mio zio si innamorò del pezzo al punto di comprare il disco in questione. Allora non ero ancora un collezionista, ne avevo le finanze per poterlo essere, quindi se volevo ascoltare un CD, ascoltavo i suoi. In quel caso specifico ci misi veramente poco ad innamorarmi delle canzoni di quel disco, anche se entrambi condividevamo un pensiero comune sugli Oasis: senza Liam Gallagher alla voce, sarebbero stati una band infinitamente migliore. Bastava ascoltare nella tracklist la traccia successiva a quella citata, Don't Look Back in Anger, per rendersi conto dell'abisso che c'era tra le doti vocali dei due fratelli di Manchester. Il pezzo infatti era cantato da Noel e si sentiva lontano un chilometro che il chitarrista aveva maggior padronanza delle corde vocali, uno spiccato senso della melodia, una modulazione invidiabile e un tono di voce decisamente più piacevole da ascoltare. Lo pensavo e lo penso tutt'ora. Vi lascio immaginare la gioia provata alla notizia dello split degli Oasis; da una parte il ragazzaccio Liam con i suoi mediocri Beady Eye e dall'altra un Noel libero di scrivere (finalmente) solo per se stesso e per la sua voce. Mentre nel primo caso pare di imbattersi in una tribute band di John Lennon venuta male, con un disco all'attivo che definire 'un plagio del plagio del plagio che non sa di niente se non di già sentito' è poco, nel secondo l'attesa si faceva febbrile. Infatti il disco in questione è uscito sette mesi dopo quello della band del fratello e le aspettative erano diventate mastodontiche.

Il senso di tutto questo è che è da quando avevo dieci anni che aspetto un disco suonato e cantato dal solo chitarrista e, dopo sedici anni, ci siamo, è uscito e adesso posso finalmente godermelo. Il 17 ottobre viene infatti dato alle stampe il primo disco del progetto Noel Gallagher's High Flying Birds che, a ben vedere, è anche il primo disco scritto interamente da Noel dai tempi di - guarda un po' - (What's the Story) Morning Glory? Anticipato dal signolo The Death of You and Me, era già chiara la strada intrapresa dal musicista, ben diversa da quella percorsa fino a quel momento con la sua storica band. Il disco infatti suona molto meno rock del materiale composto e inciso in passato, decisamente più pop nelle melodie e folk negli arrangiamenti. Certo, le aspettative c'erano e in parte son state persino ripagate, ma non aspettatevi un disco da incorniciare. Le dodici tracce che lo compongono sono davvero buone, ma tutto sommato il lavoro nel complesso non ti fa urlare al miracolo, ne pensare di esser davanti ad un capolavoro, quasi a lasciare intendere che le cartucce buone le abbia già sparate tutte in passato. Rimane comunque il fatto che siamo di fronte a un buon disco pop, lontano anni luce da quello che potreste considerare un esercizio di stile, ma, al contrario, un insieme di canzoni piuttosto sentite e personali, con degli arrangiamenti decisamente più originali di quelli del fratello nel suo nuovo progetto e, oltre a tutto questo, c'è un ammirevole tentativo (riuscito) di allontanarsi dal marchio di fabbrica che ti faceva riconoscere un pezzo degli Oasis tra mille. Curioso anche il fatto che la produzione, la distribuzione e la pubblicità per questo lavoro siano state sovvenzionate dal musicista stesso che in un intervista alla domanda "Questo album lo hai fatto tu, lo hai finanziato tu?" ha confermato "Si, l'ho fatto io. Mi è costato molti soldi. Non ho sentito l'esigenza di farlo con una grossa etichetta discografica. Possono offrirti solo soldi e io ho già abbastanza soldi" a prova del fatto che il lavoro è tutt'altro che una trovata pubblicitaria spinta dalla tanto chiacchierata litigata che ha portato la sua band allo scioglimento. Certamente un altro punto a suo favore.


Complessivamente, prestando magari più attenzione ai testi (un altro punto di forza del songwriter inglese), riesce a crescere ascolto dopo ascolto. Insomma, comprandolo non buttereste via i vostri soldi, ma nemmeno fareste l'acquisto della vita.

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