giovedì 1 dicembre 2011

Il mio tasto dolente. Uno dei tanti.

Devo ammetterlo e fare una sorta di mea culpa. Negli ultimi anni molti dei miei ascolti si sono un po' limitati al "questo lo conosco e quello che ha fatto mi è quasi sempre piaciuto, vado sul sicuro" e, come ben saprete, questo modo di ascoltare la musica ha degli effetti collaterali. Uno è quello che, in acuni casi, porta a far si che le aspettive ti si rivoltino contro come un cane incazzato, l'altro è che così facendo ti perdi quelle che sono le novità succulente del panorama musicale contemporaneo. Parliamoci chiaro, i The Black Keys non sono certo la band dell'ultimo momento, anzi. Il duo proveniente dall'Ohio, che ai più - per il binomio chitarra/voce e batteria - farà venire in mente i White Stripes, è in giro da quasi dieci anni e all'attivo ha ben otto dischi e svariati EP. Troppo preso dai miei ascolti facili facili, me li sono persi completamente. Per dieci anni, appunto. Avevo sentito parlare più che bene del loro precedente lavoro in studio (Brothers, del 2010), ma stupidamente mi son lasciato scappare l'opportunità di conoscerli già da allora.

Caso voglia che in radio - anche loro STRANAMENTE distratti come me - si siano accorti solo ora di questa band e che nelle loro playlist ci sia finito il loro ultimo singolo, Lonely Boy, e che sia ormai da settimane in heavy rotation su svariati network nazionali. Siamo di fronte a un gran bel pezzo, nonché a un'altrettanto ottima selezione di brani, che mi ha subito colpito molto, soprattutto per le parti di chitarra e il sound particolarmente grezzo, trascinante e con echi quasi cinematografici. Sfido chiunque di voi ad ascoltare questo lavoro e a non immaginarsi una qualsiasi fra le canzoni che compongono questo disco compresa nella tracklist di una colonna sonora di un qualsiasi film di Tarantino o affini. Questo particolare, durante l'ascolto, mi ha ricordato il paragone dell'amico Ale che li ha definiti i Queens of the Stone Age 2.0 (un'altra band che personalmente reputo molto cinematografica). Dal canto mio questo suo pensiero l'ho inteso come un "Questa sarebbe potuta essere la band di Josh Homme se non si fosse fumato il cervello" e, anche se (sicuramente) non è quello che intendeva dire, è quello che comunque viene da pensare a me, uno che ha amato alla follia l'uomo delle storiche Desert Session e che oggi scopre una band di questo calibro.

In sitesi, con questo El Camino quello che abbiamo tra le mani è un disco di undici pezzi di ottimo rock'n'roll, con un suond decisamente 70's, che però non sa per niente di vecchio o di già sentito. Promossi e consigliatissimi.

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