venerdì 3 maggio 2013

"E allora lasciami andare, la scelgo io la prigione"


Personalmente ho atteso con non poca impazienza il ritorno di questa band e, oserei dire finalmente, l'attesa è stata ripagata. Lo scorso 12 Marzo infatti, a distanza di tre anni dal precedente lavoro in studio, i Ministri hanno dato alle stampe Per Un Passato Migliore, loro quarto capitolo (e mezzo) discografico.
Ho conosciuto la band quando ormai era sulla bocca di tutti, con già due dischi all'attivo e una credibilità live invidiabile, nell'estate 2009 e da allora posso dirmi loro grande fan ed estimatore.
Ricordo come se fosse ieri l'attesa per quello che fu il successore di Tempi Bui, disco di maggior successo del trio(+uno), e cioè Fuori. Altrettanto bene ricordo il primo ascolto di quel disco e, vi assicuro, risultò a dir poco deludente. Nonostante il brano apripista, "Il Sole (È Importante Che Non Ci Sia)", sia ad oggi uno dei più bei pezzi proposti fino ad oggi dalla band, se non dalla scena indie-rock tutta, il disco fu una mezza delusione. Molto più patinato e prodotto dei primi due, dava l'impressione di non avere granché da dire a livello musicale. Poco alla volta però, anche grazie ai bellissimi testi di Dragona, chitarrista e compositore principale del nucleo, c'è da dire che il disco, nonostante le prime impressioni crebbe e, sulla lunga distanza, il materiale prese la forma che gli spettava e ad oggi posso dire che non era poi tutto da buttare, fermo restando che stiamo parlado comunque del loro capitolo peggiore.
C'è da dire che per i fan della prima ora, anche Tempi Bui fu una mezza delusione dopo I Soldi Sono Finiti, forse uno dei migliori esordi discografici del nostro paese. Passare da una etichetta discografica indipendente a una major come la Universal può aver compromesso l'integrità sonora della band. Spesso infatti, sotto contratti sostanziosi, il lavoro che si può fare sul proprio materiale è dettato dalle leggi di un mercato discografico come quello italiano, indirizzato solo sul profitto immediato che va a nuocere la personalità dell'artista. La band infatti ad oggi vende bene 'dal vivo' essendo, a conti fatti, una delle realtà live di maggior impatto nel nostro paese, al pari di veterani come Afterhours o di mostri sacri come Il Teatro degli Orrori.
Con questo Per Un Passato Migliore, invece, pare che la band sia tornata ad avere la forza, l'ispirazione e l'entusiasmo degli inizi. Infatti, fin subito dopo l'ascolto in anteprima dell'ormai anthem "Comunque", iniziò a comparire all'orizzonte il bagliore di quello che aveva tutte le carte in regola per essere un disco con i contro-attributi. Che sia il ritorno ad una realtà indipendente ad aver dato loro nuova vita? Chissà.
Che dire comunque? Attesa ripagata! Fin dall'introduttiva e granitica "Mammut", ci si tuffa a pie' pari nell'ascolto di un disco che difficilmente riuscirete a levare dall'autoradio o dallo stereo di casa. Il primo ascolto fa pensare ad un vero e proprio ritorno alle origini, senza campionamenti o sintetizzatori. Solo chitarra, voce, basso e batteria.
Oltre alla già citata "Comunque", di pezzi forti in questo disco non ne mancano. Difficile non trovarsi a saltare per la stanza o a prendere a spallate amici ed armadi con pezzi quali "Le Nostre Condizioni""Spingere" o "Mille Settimane". Impossibile non condividere i pensieri espressi o lasciarsi coinvolgere emotivamente da pezzi come "Stare Dove Sono""La Pista Anarchica""I Tuoi Weekend Mi Distruggono" o la conclusiva "Una Palude".
Il buon mix di ritmo, ruvidezza, velocità e melodia fanno sì che le linee spazio temporali vadano a farsi benedire e la sensazione è quella di ascoltare finalmente il secondo vero e degno successore del primo disco dei Ministri.
Quindi, bando alle ciance... andate a comprarlo! Questo disco oltre ad essere una bomba, costa anche pochissimo.

Non avete più scuse.
Seguite la pista anarchica!


They like it, they like it scream!


Quando un ascoltatore medio di punk rock ha bisogno di rassicurazioni e conferme, a parer mio, dovrebbe andare a bussare la porta dei Mudhoney.
Questa è forse la band più coerente che mi sia mai capitato di ascoltare in tutta la mia vita. Pare non siano passati quasi venticinque anni dal loro primo disco e, al contrario di quello che un ascoltatore medio può pensare, pur facendo la stessa musica da quasi tre decenni, non c'è un solo capitolo nella loro discografia che definireste banale o puro esercizio di stile.
La conferma, in questo caso, arriva con le dieci potentissime e ruffianamente scanzonate tracce che vanno a comporre Vanishing Point, nona fatica in studio dei veterani di Seattle.
Anticipato ai più dal divertentissimo e coinvolgente singolo "I Like it Small", questo lavoro è composto da dieci tracce decisamente eterogenee ma al tempo stesso compatte e potenti, dove la band affronta il punk e l'hardcore con la stessa disivoltura con cui immerge le proprie chitarre in sonorità a sfondo psichedelico, a volte quasi desertico.
Per gli amanti del genere, ma non solo.
Disco da ascoltare e riascoltare finché vi reggono le ginocchia.

Call It Fate, Call It 80's


Se con il precedente Angles del 2011 pagano pegno a Phrases For the Young, lavoro solista del loro leader, Julian Casablancas, con questo Comedown Machine fanno dichiarazione di intenti immergendo in quelle sonorità entrambe le mani fino ai gomiti.
Lasciando da parte i suoni ruvidi e asciutti degli esordi e dando spazio a sintetizzatori e sonorità che fanno tirar su le maniche e crescere le spalline sotto le giacche, questa ultima fatica dei newyorkesi The Strokes si discosta dalle tinte anni '70 riprese a due mani nei primi 2000 e, più di dieci anni dopo, coerentemente e al passo coi (loro) tempi, ci si ritrova ad ascoltarli in una veste decisamente anni '80 che probabilmente sarà difficile da far digerire ai fan della prima ora.
Anche qui, tutto da buttare? No, assolutamente no. Il lavoro checché se ne dica è valido, anche se purtroppo si nota un calo di ispirazione nella stesura dei pezzi che vanno a comporre un disco da una parte originale, dall'altra monotono e che alla lunga può annoiare.
Peccato.
Aspettiamo di vederli dal vivo per poter giudicare meglio.

Drinking is better.


Cosa si cela dietro il nome Atoms For Peace?
Non sono pochi quelli curiosi di sentire nella stessa band due talenti tanto grandi e al contempo tanto diversi come Thom Yorke, leader dei Radiohead, e Flea, talentuosissimo e folle bassista dei Red Hot Chili Peppers.
Il risultato? A partire dalla copertina, un proseguimento naturale di The Eraser, primo disco solista del talentuoso musicista di Oxfordershire datato 2006.
A nulla o quasi è servito l'apporto del californiano al basso, tanto che non si notano particolari differenze tra i recenti lavori in studio con i Radiohead e questo Amok.
Disco brutto? No, niente affatto, ma sinceramente le aspettative eran grandi, anche perché stiamo parlando di un supergruppo che oltre ad avere uno dei cantanti e compositori di maggior spessore al mondo, ha alla base ritmica un vero talento che in questo lavoro ahimè ha un ruolo marginale e snaturato.
Ascoltandolo certo non butterete via il vostro tempo, ma il consiglio che vi do è quello di non aspettatevi niente di tanto diverso dal solito buon disco 'elettronico' firmato Thom Yorke.