mercoledì 26 settembre 2012

...SUCK MY COCK!

Negli anni '60/'70 ci avevano abituato bene gli Stones, gli Zeppelin ci hanno fatto innamorare, gli AC/DC esaltare e gli Aerosmith ben sperare. Gli anni '80 ci hanno regalato buoni sprazzi di creatività con i Guns N' Roses e pacchianate di dubbio valore (non me ne vogliano i fan, ma il parere è mio e me lo tengo stretto) con Bon Jovi, Europe, Mötley Crüe e Skid Row. Negli anni '90 qualche conferma c'è stata, anche quando nuove realtà alternative molto interessanti si fecero largo sfacciate nel music business, ma per ritrovare un rinnovato amore nei confronti dell'hard rock suonato alla vecchia maniera, quel vecchio e sano rock 'n' roll sporcato con blues e paillettes, bisogna però aspettare l'alba dei 2000.

Gli Stones ormai sono un gruppo di vecchietti riempistadio che fanno il loro sporco lavoro, seppur composto di revival, egregiamente, gli Zeppelin ci hanno ormai lasciati orfani della loro musica dal vivo da ormai un trentennio abbondante, gli AC/DC ci riprovano di continuo e, anche se la formula funziona, è la solita solfa e i redivivi Guns N' Roses, ormai snaturati e orfani della formazione che li ha resi delle leggende, non emozionano più. I Bon Jovi, gli Europe e i Mötley Crüe purtroppo esistono ancora e forse gli Skid Row ci daranno il dispiacere di bussare di nuovo alle porte della discografia.

Quello che oggi resta all'ascoltatore medio è un manicolo di coverband (possa Ronnie James Dio avere pietà di voi) e qualche rara eccezione in cui ci si ritrova ad ascoltare dischi di band, più o meno valide, che hanno macinato i dischi delle realtà appena citate, per poi rigurgitare canzoni che di certo non le fanno rimpiangere più di quel tanto. Gruppi come Wolfmother, i recenti Rival Sons o gli svariati progetti di Jack White aiutano il nostalgico come il metadone aiuta l'eroinomane.

Poi invece ci sono i The Darkness, band sulla quale vorrei soffermarmi in questo post, che nel 2003 riuscirono ad ammaliare mezzo globo con il loro disco d'esordio, Permission to Land e, fra alti e bassi a livello personale, a dare una conferma gradita con il successivo One Way Ticket to Hell... and Back nel 2005. Successo così grande e immediato che evidentemente diede alla testa al quintetto inglese, tanto da annunciare nel 2006, dopo appena tre anni dal loro esordio dicografico, che per problemi personali dettati da dissidi interni e una preoccupante tossicodipendenza del cantante Justin Hawkins, la band si sarebbe sciolta a tempo indeterminato.

Nel periodo che va dal 2008 al 2010 la rete, che si sa, è fonte di miriadi di informazioni e mezzo per i messaggi subliminali più disparati, aveva regalato ai fan la speranza di un ritorno di fiamma fra i membri della band, fino alla conferma dell'effettiva reunion avvenuta nel 2011, quando si apprende dal mezzo di informazione che il gruppo è effettivamente al lavoro per il suo terzo lavoro in studio. Justin (ormai disintossicato e con una tutt'altro che soddisfacente parentesi solista) and co. tornano infatti con Hot Cakes, dato alle stampe il 20 Agosto di quest'anno.

Il disco non si discosta dalla formula usata nei due predecessori, un mix di rock 'n' roll ed ironia che da sempre riesce a fare apprezzare il gruppo anche ai meno appassionati al genere.

Ad accendere la miccia di questo lavoro è il terzo singolo promozionale in ordine di tempo, "Every Inch of You", un crescendo ritmico di percussioni/chitarra/basso che sfocia in un ritornello alla loro maniera, con un testo che dire divertente è poca cosa. Si susseguono cavalcate poderose di hard rock di ottima fattura. Con "With a Woman" e "Keep Me Hangin' On" ci si ritrova immersi negli anni '70 senza ritegno, con "Living Each Day Blind" lo stampo riconoscibilissimo della band si impone su una melodia che si alterna ad assoli virtuosi a due e ad un ritornello così coinvolgente che sfido chiunque a non cantarlo a squarciagola durante l'ascolto in auto.

Già solo arrivando a "Concrete" ci si accorge di aver speso bene i propri soldi e sulle note conclusive della cinica e ruffiana "Love is Not the Answer" si fatica a non rimettere su il disco e questo, si sa, non denota altro che la riuscita del lavoro in toto.

Che i fratelli Hawkins alle sei corde ci sanno fare si sapeva, ma riuscire a regalare parti di chitarra che ricordano i migliori AC/DC senza però far mai storcere il naso, non è cosa da poco.

Curiosa e spiazzante è la cover di un pezzo più che celebre dei Radiohead, "Street Spirit (Fade Out)", dove la band si cimenta in un simil speed-metal sgraziato che riesce a far sorridere chi di solito su un pezzo come questo tutto fa tranne che rallegrarsi e, chissà, magari l'intento della band era proprio quello di rendere divertente un pezzo che di certo non aveva bisogno di reinterpretazioni per essere considerato un capolavoro. Che sia un loro modo di dargli giustizia a tuttotondo?

Ritornano così i The Darkness e non si può certo restare indifferenti a un loro lavoro. Certo non aggiungono niente al genere, ma di sicuro ne confermano la grandezza e il potenziale. E poi, fidatevi, con questo disco la band non tradisce le aspettative: se avete apprezzato i due lavori precedenti, sappiate che anche con questo Hot Cakes il divertimento è assicurato!


Nessun commento:

Posta un commento