mercoledì 26 settembre 2012

Shoot the Fucker Down!

Appena due dischi nel decennio scorso non sono bastati ad attribuire ai Green Day la fama di scansafatiche, anzi, con appena due lavori sono riusciti a riempire per un intero decennio platee in tutto il mondo, a vendere milioni di dischi, a realizzare un musical per Broadway incentrato sull'ormai best seller American Idiot e ora, a distanza di tre anni dall'ultimo lavoro in studio, 21st Century Breakdown, riappaiono più in forma che mai con tre (avete letto bene) dischi in studio che verranno pubblicati a distanza di due mesi l'uno dall'altro.

 Il primo disco di cui fra poco vi parlerò è primo della trilogia, è intitolato ¡Uno! e potrete trovarlo nei negozi già dal prossimo 25 Settembre. Per il secondo disco, ¡Dos!, dovrete attente fino al 13 Novembre, invece per il terzo e conclusivo capitolo della trilogia, ¡Trè!, fino al 15 Gennaio.

Da fan quindicennale devo ammettere che aspettavo, non dico con ansia, ma quasi, il ritorno sulle scene del terzetto (+1, Jason White, che dal 1999 è il secondo chitarrista non ufficiale della band) di Berkeley. Sto ascoltando da più o meno dieci ore in semi-loop questo lavoro e la prima impressione è che il decennio a cui facevo riferimento qui sopra, si sia polverizzato nel nulla e che la band riprenda un discorso lasciato in sospeso col disco del 2000, Warning. Quello che Billie Joe & co. propongono è di fatto un Power Pop che ricorda tantissimo i lavori degli esordi, quelli che li hanno resi dei numeri uno del genere a metà anni '90, quando le masse iniziavano a stancarsi del fantomatico Seattle Sound, dalle atmosfere cupe e poetiche di quella scena, e il loro bisogno virava verso i confini della - concedetemi la licenza poetica - cazzoneria più sfrenata, caratterizzata da sferragliate in power chord e zero assoli o virtuosismi di alcun genere. Non vi dico la soddisfazione! Io personalmente mi ero stancato della formula del concept, ormai banale e ripetitiva, e sono felice della svolta/non svolta che mi fa tornare quattordicenne.

Ok ok, ad ascoltare questo lavoro pare di sentire riadattamenti di pezzi anni novanta suonati con la maturità odierna, con l'aggiunta di qualche assolo che nel '94 Billie Joe non si sarebbe mai sognato di riuscire ad eseguire, certo, e melodie spesso prevedibili... ma chissenefrega, sono i Green Day! Di certo un loro fan della prima ora o quasi non potrà che essere felice di ritrovarsi fra le mani un lavoro composto da pezzi che per la loro semplicità e la loro efficacia sarebbero potuti tranquillamente essere inseriti in Dookie, che per il loro tiro non sarebbero stati inferiori certo ad un qualsiasi brano estratto da Insomniac e che per la loro compattezza sonora non sarebbero sfigurati nella tracklist di quella figata chiamata Nimrod.

Insomma, un rock viscerale, semplice e diretto. Con atmosfere e cavalcate che solo questa band riesce a mettere in piedi. Partono in quarta con "Nuclear Family", pezzo che apre le danze e ti fa già saltare sulla sedia, per un susseguirsi di tracce potenti e dirette che non ti fanno tirare il fiato un solo momento. Eccezion fatta per il singolo di lancio, "Oh Love", che ricorda i trascorsi del passato recente e "Kill the DJ", secondo estratto del disco, dove possiamo sentire i Green Day alle prese con sonorità mai affrontate nemmeno nei side-project The Network e Foxboro Hot Tubs, i pezzi che compongono questo disco appaiono all'ascoltatore come le più oneste e spontanee incise da un sacco di tempo a questa parte. Che si siano lasciati alle spalle i loro trascorsi da poser e siano tornati a fare rock 'n' roll senza la pretesa di essere emulati stilisticamente dai loro ascoltatori? Bah, forse. Ma ripeto, chissenefrega!

Mettete nello stereo dell'auto ¡Uno!, non ve ne pentirete.

Io intanto continuo con l'ascolto ossessivo e a farmi venire la febbre come un(a) quindicenne in trepidante attesa per i prossimi due lavori.

Stay tuned!


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