martedì 11 settembre 2012

Bush - Alcatraz (MI), 03 Settembre 2012

Un concerto partito in diesel quello dei Bush l'altra sera all'Alcatraz di Milano. Le prevendite non rassicuranti balzano subito all'occhio appena entrati nel locale, solo seicento biglietti venduti e pochissima gente ad assistere all'ingresso della band. Quest'ultima, che evidentemente non stava vivendo bene il momento appena salita sul palco milanese, pare abbia sbattuto il muso sulla cosa e si vede. Nonostante questo, però, basta comunque il tempo di suonare due pezzi e il pubblico poco a poco prende forma e il parterre si riempie in men che non si dica.

Rossdale & co. non calcavano i palcoscenici da otto anni come minimo e, nonostante il successo avuto nell'era post grunge (Dio, già grunge come parola mi ha sempre fatto schifo...) di metà anni '90, che gli ha garantito vendite e non poca fama, non penso fossero molti quelli che, dopo lo scioglimento del 2002, si siano accorti della reunion del 2010. A me personalmente è capitato di ascoltare il loro primo singolo dopo quasi un decennio di silenzio, "The Sound of Winter", solo su uno dei nostri network nazionali, e questo non solo lasciava un po' l'amaro in bocca ai fan di vecchia data, ma faceva sorgere non pochi dubbi. Il network in questione è conosciuto per la sua programmazione esclusivamente rock (prendetela con le pinze), ma fra i pezzi scritti fino ad oggi dai Bush, a parer mio, non ce n'è uno solo che non possa essere trasmesso su un qualsiasi network fra quelli che spopolano nel nostro paese.

Che siano stati o meno questi i motivi dell'iniziale scarso riscontro di vendite, c'è da dire che nonostante due dei membri storici non ci siano più (il chitarrista co-fondatore della band Nigel Pulsford ha lasciato il gruppo per dedicarsi alla famiglia subito dopo le registrazioni del disco del 2001, Golden State, e il bassista Dave Parsons ha definitivamente lasciato il gruppo in occasione dello split del 2002), la band non ha perso lo smalto e, nonostato un inizio un po' così, dal terzo pezzo in scaletta ("The Chemical Between Us") in poi, ha regalato agli spettatori un'esibizione molto intensa e la sensazione che si ha è che, anche se c'è un disco da promuovere in un paese che non se li è filati fino ad oggi da quasi un decennio, di base c'è lo sforzo da parte loro di celebrare il loro ritorno con una scaletta che ha ben poco di nuovo e promozionale e che fa tuffare tutti quanti in un amarcord indietro di quindici anni abbondanti.

Come già detto, nonostante la "Machinehead" d'apertura, è dal terzo pezzo in poi che la band e il pubblico riescono ad entrare veramente in sintonia e, come un treno, la band tirerà dritto verso classici che un paio d'anni fa in pochi avrebbero mai sperato di poter sentire dal vivo. Il delirio vero e proprio ha inizio dopo appena cinque pezzi e su "Everithing Zen" il pit esplode. La scaletta è un pout pourri più che equilibrato di vecchi e nuovi pezzi che fa tirare il fiato alla band solo dopo un'ora e venti abbondante.

Rossdale non è stato fermo un attimo, però, lasciatemelo dire, secondo me non è normale che pisci sudore in quella maniera. Le prime file potevano tranquillamente insaponarsi, tanto lui li avrebbe lavati tutti. Evidentemente l'entourage è cosciente di questa cosa e, a detta dell'amica Elena (sua la foto presente in questo post), sarà per questo motivo che la sua pedaliera era ricoperta interamente dal cellophane.

Detto questo, c'è da considerare il fatto che, a differenza di molti colleghi celebri, la band, superato l'imbarazzo del primo quarto d'ora, mantiene un buon contatto con il pubblico dall'inizio alla fine, al punto che (si lo so, lo sta facendo a tutti i concerti) in "The Afterline" il bellissimo e sudatissimo cantante scende fra il pubblico e tra moine, pose, finti corteggiamenti e corse in mezzo alla platea, regala uno spettacolo che sinceramente non mi era mai capitato di vedere. La sua corsa lo ha portato a un punto dove è riuscito persino a commuovermi, quando sulle gradinate del locale, in uno spazio apposito, incrocia un signore sulla sessantina costretto su una sedia a rotelle che io e la mia ragazza abbiamo incontrato ad almento altri due concerti milanesi (Mudhoney e Soundgarden), e lo bacia affettuosamente lasciandolo lì, felice ed incredulo come un bambino che scarta il regalo più bello sotto l'albero a Natale.

Il concerto finisce con un encore composto da quattro pezzi, due cover riuscitissime ("Breathe" dei Pink Floyd e "Come Together" dei Beatles), una "Glycerine" alternativa che esplode nell'ultimo ritornello e la conclusica e quasi auto-celebrativa "Comedown".

Dopo due ore e tre quarti e i dovuti ringraziamenti, la band abbandona il palco lasciando addosso al pubblico una sensazione di 'compiuto' che poche volte mi è capitato di percepire ad un concerto.

Un ulteriore punto a favore della band inglese è che l'esercizio di stile c'è stato, non poteva non esserci alla loro età, ma è stato decisamente marginale. Non sarà certo questo a farmi ricordare con poco piacere questa esibizione, anzi.


P.S. Gavin, bello mio... fatti curare quella sudorazione!


SETLIST:
- Machinehead
- All My Life
- The Chemicals Between Us
- The Sound of Winter
- Everything Zen
- Swallowed
- The Heart of the Matter
- Prizefighter
- Stand Up
- Greedy Fly
- Alien
- The Afterlife
- Little Things

ENCORE:
- Breathe (Pink Floyd cover)
- Come Together (The Beatles cover)
- Glycerine
- Comedown

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