martedì 4 ottobre 2011

Un mare di rimpianti.

Anche a me come all'amico Ale, i Bush son sempre piaciuti. Pur essendomi imbattuto in loro nel 1999 grazie al singolone The Chemical Between Us, pur essendo questo un pezzo estratto dal loro terzo disco e che quindi la cosa mi vedeva come il ritardatario di turno, c'è da dire che ho saputo far di peggio e cioè approfondire veramente la conoscenza nei confronti della band nel tardo 2006 quando si erano ormai sciolti da quattro anni, dopo un disco, Golden State (2001), che era un raro esempio di bellezza. In quel periodo, non che adesso siam messi meglio, era infatti assai raro riuscire a trovare un disco così bello dalla prima all'ultima traccia e la crisi mondiale della discografia non aiutava certo ad aver fiducia nelle band, visto e considerato che le idee iniziavano a scarseggiare; invece era facilissimo imbattersi in dischi composti dal singolone ad effetto con le restanti tracce a fare da riempitivi pietosi. Pur essendo un disco di poche pretese, di certo non innovativo per quanto riguarda la band e tantomeno la discografia, riusciva a farsi ascoltare tutto d'un fiato. C'è comunque da dire, che pur essendo un ritardatario, non sono rimasto con le mani in mano e, ai tempi, mi procurai l'intera discografia (in tutto quattro dischi: Sixteen Stone del 1994, Razorbalde Suitcase del 1997, The Science of Things del 1999 e il già citato Golden State) in tempo zero e non mi feci certo mancare quel tipo di ascolto che in molti definirebbero ossessivo, del tipo che metti su un disco e lo ascolti fino alla nausea. Ero così affascinato dalla voce di Gavin Rossdale e dal sound della sua band, che non ho ascoltato molto altro in quei mesi.

Ormai rassegnato a non poterli sentire più dal vivo, vi lascio immaginare come ho reagito alla notizia della reunion nel 2010! Ero entusiasta e non vedevo l'ora di poter sentire del materiale nuovo, soprattutto perché non c'è un solo disco che sia uno nella loro produzione che non mi sia piaciuto in toto. Ripensando a quello che era riuscito a fare il leader della band durante la carriera solista, mi son sempre chiesto come sarebbe potuto suonare quel materiale (discreto) con alle spalle la sua band storica. Qui arriviamo al punto della questione: quest'anno è uscito The Sea of Memories, l'atteso ritorno dei Bush che li rivede in gran rispolvero dal vivo e in studio, appunto. Purtroppo l'attesa non ha ripagato le mie aspettative. Mi son ritrovato ad ascoltare avido un disco che non va a segno, che non mi convince, non mi coinvolge e tantomeno si fa ricordare. Solo ieri ho provato ad ascoltarlo tre volte di seguito e un'altra volta stamattina. Niente. Non ce n'è nemmeno una canzone che mi ricordi con piacere e voglia di riascoltarla. La mia speranza era che il singolo fosse solo un tentativo bieco di aprire le danze all'ascolto dell'intero disco, una scelta poco azzeccata che però sarebbe stata blissata da un lavoro abbastanza bello da farmi dimenticare il passo falso. Immaginate la delusione nel rendermi conto che la canzone in questione, The Sounds of Winter, è addirittura una delle migliori in scaletta. Niente da fare, non credo ci sia da dare la colpa a qualcuno, semplicemente mancano le idee. Addirittura in alcuni dei ‘pezzi forti’ pare di sentire una tribute band, tanto che addirittura un brano come All Night Doctors ha gli stessi accordi di chitarra della bellissima Glycerine a fare da sottofondo, con tanto di linea metrica e melodica quasi del tutto uguale a un brano del Rossdale solista quale Love Remains the Same.

Peccato, davvero. Aspettiamo di riuscire a vederli dal vivo e poterci consolare col vecchio materiale di repertorio.


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