domenica 1 aprile 2012

Il Teatro degli Orrori - Alcatraz, 29 Marzo 2012

Torna furente Il Teatro degli Orrori e lo fa con un concept album di tutto rispetto e con un tour che li vedrà suonare più o meno in ogni zona d'Italia per tutta la primavera. Torna Il Teatro degli Orrori e mi nasce spontanea una domanda: chissà come si sente l'estroso ed eclettico Pierpaolo Capovilla, navigato musicista e cantante militante nei One Dimensional Man ormai da sedici anni, quando col semplice 'cambiare la lingua con cui si cantan le canzoni' è riuscito a riscuotere così tanta attenzione e riscontro di pubblico e fan, quando con la sua precedente band riscuoteva forse un quarto dell'audience dell'attuale. Lui, che di esperienza e maturità ne ha a palate, si sentirà semplicemente grato. Io, che invece sono un materialista, spocchioso e orgolioso, mi sentirei un idiota."Perché non ci ho pensato prima?"


Insomma, è forse grazie a gruppi come questo che non mi riesce più di giustificare o approvare gli italiani che cercano di sfondare con una band studiata a tavolino che fa della sua unica forza il cantare in inglese. Sei in Italia, paese che ahimè ha lasciato al potere un vecchio viscido e la sua banda di balordi per quindici anni! Se per fargli arrivare 'il messaggio' gli urli addosso cose in inglese, stai sicuro che NON TI CAPIRA'! Capovilla & co. questa cosa l'han capita e, dal 2005, loro i dubbi, la rabbia, le loro considerazioni sull'odierno e le cose che non vanno nel nostro paese le urlano in una maniera che più comprensibile di così si muore. E devo dire che la cosa gli riesce bene.

Tutto questo per parlarvi del mio arrivo all'Alcatraz la sera del mio debutto nel pit della band veneta.

Sono più o meno le nove e sul palco c'è già il gruppo di supporto. Due pezzi e già capisco che non mi piacciono. Sembra di sentire la coverband dei Kings of Leon con una cantante che scimmiotta in maniera pessima PJ Harvey. Impersonali, banali e nemmeno un pezzo che rimane in testa se non per l'imbarazzo provato nell'ascoltarli per quella mezz'ora. Non dirò il loro nome. Perché? Perché no.

Il parterre è pieno solo in transenna, mi guardo in giro e, scettico, mi chiedo se è tutto qui quello che possono dare i milanesi a questa band che è famosa per le sue esibizioni al fulmicotone. L'orologio arriva a segnare le dieci meno dieci e finalmente le luci si spengono. Nessuna entrata 'epica', nessun ingresso da 'star', nessuna 'gerarchia'. Tutti sul palco. Subito. Già li amo.

L'esibizione parte con la opening track dell'ultimo disco, "Rivendico", e il pit si riempie di colpo fino all'orlo. Ci siamo. Si susseguono in un crescendo di decibel altri tre pezzi presi qua e là nella discografia e su "Skopje" fa il suo primo ingresso (ne seguiranno degli altri) Rodrigo D'Erasmo degli Afterhours al violino. Il quinto pezzo in ordine di esecuzione, "È Colpa Mia", forse una delle mie canzoni preferite nel loro repertorio, è uno dei punti più alti di un'esibizione che a livello esecutivo sfiora la perfezione, al punto che mi vien da pensare che "dopo questa me ne posso tranquillamente andare a casa contento". La risposta del pubblico è ottima, anche per i pezzi nuovi che, dopo quest'ultima canzone, si susseguono fino a "Ion", dove per la prima volta Capovilla dice qualcosa di diverso da "Grazie!" e lo fa iniziando a parlare dell'operaio romeno a cui è dedicato il pezzo, tristemente ricordato per la vicenda successa nel 2000 a Varese quando, dopo una lite, è stato cosparso di benzina e bruciato vivo solo per aver chiesto che venissero rispettati i suoi diritti di onesto lavoratore. Molto commovente il prologo del cantante a questo pezzo, che altro non fa che raccontare una triste storia simile ad altre mille storie scritte e successe in un paese come questo che, mai come nell'ultimo ventennio, riesce a contraddistinguersi per i suoi picchi di xenofobia e denigrazione del diverso in genere.

Il concerto prosegue e mi accorgo di una cosa sconcertante. Il pubblico è molto attivo e partecipe, canta praticamente ogni ritornello e lo fa a squarciagola. Eppure è quasi impercettibile. Il muro sonoro di questa band mi rende partecipe di una cosa che in nessun concerto visto fino ad ora mi è mai accaduta: il livello di decibel è così alto da riuscire a coprire le voci di centinaia di persone che cantano all'unisolo a squarciagola. Incredibile!

A questo punto la scaletta arriva fino al duo "E Lei Venne!" e "Compagna Teresa" dove il pit si fa violento e la terra inizia a tremare. Due anthems, due veri manifesti del Teatro degli Orrori, forse i due pezzi preferiti da chi li segue dagli esordi. E si sente. Si sente in tutti i sensi!

Chiude la prima parte del concerto, quella prima degli encores, la lenta e tagliente "Adrian", il pezzo più scuro presente nel disco nuovo.

La band si allontana dal palco. Il tempo di un paio di fischi e la consueta capatina al cesso e rientrano per un trittico di tutto rispetto: "Dimmi Addio", l'ultimo singolo "Io Cerco Te" e la sempre commovente "La Canzone di Tom".

Presentazioni, saluti, ringraziamenti e via... tutti giù dal palco. La gente defluisce fuori dall’Alcatraz soddisfatta e sudata, gli epilettici si alzano da terra dopo le due ore di flash molesti provenienti dall’illuminazione scenografica del palco e io me ne torno a casa sazio di musica e coi miei bei due vinili nuovi di zecca, felice e contento.


SETLIST:
- Rivendico
- Non Vedo l'Ora

- Per Nessuno
- Skopje
- È Colpa Mia
- Pablo
- Martino
- Doris
- Monica
- Ion
- Direzioni Diverse
- Il Terzo Mondo
- E Lei Venne!
- Compagna Teresa
- Cleveland/Baghdad
- Adrian

ENCORE:
- Dimmi Addio
- Io Cerco Te
- La Canzone di Tom 


Piccola curiosità: ero un po' lontano, quindi non so ho visto bene, ma il bassista della band, prima di andarsene, ha lasciato il basso a uno del pubblico in transenna che non ha perso tempo e si è messo a far casino come si deve. Non si vede tutti i giorni, per Dio. Voi l'avete mai vista una cosa del genere? Io no.

Tirando le somme posso tranquillamente dire che l'esperienza Teatro degli Orrori lascia il segno e quel briciolo di speranza utile a farti sopravvivere come ascoltatore, lo stesso ascoltatore che augura a se stesso che nel suo paese, ormai anestetizzato da comparsate e poser che si atteggiano a musicisti, inizino a sbucare più gruppi come questo, che sul palco riescano a dare tutto, perfino l'inimmaginabile.

Se passano vicino casa vostra, non lasciatevi sfuggire l'occasione di andare a vederli!



2 commenti:

  1. Bella recensione, però non condivido che l'unica differenza tra One Dimensional Man e Teatro degli Orrori sia la lingua: certo, la scelta dell'inglese condiziona molto il modo che ha di cantare il Capovilla, tuttavia i testi degli ODM non hanno la stessa forza di quelli del TDO, ed anche la musica, pur bella, non è altrettanto incisiva...Il Teatro degli Orrori per me è nettamente superiore ai One Dimensional Man...
    Ciao

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  2. Ciao!
    Guarda che la penso come te... hai perfettamente ragione sulle due band. Mettici anche che i musicisti 'in più' nei TDO sono migliori sotto molti aspetti. Quello che intendo dire è che se i ODM, con i loro testi meno impegnati, avessero usato la lingua italiana, molto probabilmente avrebbero fatto breccia su più persone in quanto più 'immediati' e 'comprensibili'.
    Non dimenticarti che siamo in un paese di deficenti. :D

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