martedì 5 ottobre 2010

Da grande.

Troppo piccoli per poter guidare un'auto o un motorino, troppo per poter costruire capanne nei boschi o occupare capannoni abbandonati - maledetta vecchia - e troppo, troppo piccoli per poter anche solo uscire dalla via con le biciclette.

"Ehi, ciao!" "Ciao..." "Che fai?" "Gioco..." disse dall'altra parte della rete. Lo vidi perso, maledettamente preso da quello che aveva fra le mani. Abbandonai la mia piccola graziella rosso acceso (non so come sia possibile che il primo mezzo di locomozione di un 'bambino' fosse una bicicletta da bambina... rossa per giunta, quindi non chiedetemelo) sul muretto di cinta e mi avvicinai a lui, sempre alle prese con la superficie metallica del cassone del contatore dell'acqua di casa sua; "con cosa giochi?" feci guardando con mezz'occhio lui e mezzo quello che stava facendo "con questo!" e mi mise sotto gli occhi un camioncino, uno dei tanti, con i quali giocava spesso e volentieri "me lo ha portato mio papà" "bello, cos'è?" "un bilico!". Stravedeva per quegli aggeggini, ne aveva un sacco, più o meno la media di un bambino che in genere colleziona macchinine.

Quel pomeriggio rimasi lì, con le mani e la fronte appoggiate alla rete, a guardarlo giocare per un un bel po', finché non si fece tardi e sentii urlare mia madre che mi diceva di tornare a casa.

È l'amico più vecchio che ho. Se qualcuno mi chiedesse chi è la persona che conosco da più tempo, farei il suo nome. Da bambini giocavamo quasi sempre assieme, almeno fino all'inizio della scuola. Lì la cerchia delle amicizie cambiò, o meglio, lui iniziò a farsi degli amici e io rimasi a guardare. Fino ad allora, però, era la persona che conoscevo meglio al mondo.

Di tempo ne è passato da quei giorni, di cose ne sono successe un sacco. Da bambini, almeno una volta, sarà capitato di sentirsi chiedere "E tu? Tu cosa vuoi fare da grande?" ed io, almeno allora, rispondevo "il meccanico", il lavoro di mio padre. Almeno per noi maschietti il 'papà' rimarrà sempre e per sempre l'eroe indiscusso della nostra infanzia e per lui non era diverso. La sua passione per quei giganti su ruote era nata guardando il papà, gli zii e il nonno che ai tempi facevano tutti lo stesso lavoro: i camionisti, appunto.

Come dicevo. di tempo ne è passato e di cose ne sono successe e, alla fine, purtroppo, non tutto va come ti aspetti, almeno non all'inizio.

L'altra sera, tornato da pochissimo dal lavoro, ho incrociato sua madre sulla soglia di casa e, visto che era da un sacco che non la vedevo ne la sentivo, mi son fermato a scambiarci due parole. Era un po' che non vedevo nemmeno lui e ne ho approfittato per chiederle sue notizie. Quello che mi son sentito dire in quel momento mi ha riempito il cuore di gioia. Sapevo che dopo gli studi la sua esperienza col lavoro è stata un tira e molla continuo con quello che lo soddisfaceva e quello che lo opprimeva, le poche parole scambiate in questi anni non mi hanno lasciato intendere fosse entusiasta di quello che stava facendo, ma quello che mi ha detto sua madre quella sera mi ha fatto pensare a quando eravamo bambini e si parlava dei grandi e, inutile dirlo, gli occhi hanno iniziato a inumidirsi e un brivido a farsi spazio tra le vertebre. Quella sera tornavo da una giornata, l'ennesima, passata a fare qualcosa che non mi soddisfa e non mi soddisferà mai e nella mia testa c'era spazio solo per un rumore sordo e opprimente, il suono ridondante dell'insoddisfazione. D'un tratto però, dopo le sue parole, quel rumore si è attenuato, fino a sparire completamente, per far spazio a mille pensieri ed a una gioia che non sto a dire. Un passo indietro lungo almeno vent'anni. Vent'anni, cazzo. Per molti può significare tanto e per altri niente, ma per me quella era una delle notizie migliori che abbia mai ricevuto.


"E tu, Dani? Tu cosa vuoi fare da grande?"


Per quel che vale, sono fiero di te.
E, fidati di me, lo sarebbe anche tuo zio.


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