Ognuno di noi ha le proprie abitudini, piccoli momenti che ci concediamo solo per noi, piccole attenzioni che nessuno può dare alle cose, se non noi. Solo noi. Ci sono le piccole certezze che si basano sul mangiare a una determinata ora, sulla pizza della domenica, per non parlare del pollo del martedì, della bistecca del giovedì e del pesce del venerdì. Il Letto fresco prima di andare a dormire, ne vogliamo parlare? La tavoletta del cesso alzata, perché sennò sono cazzi vostri, pincopalla piscia dove gli capita se ve la scordate abbassata! Poi... i pantaloni appesi in una certa maniera, le magliette nel cassetto piegate in un certo modo e... no, aspetta, chi ha spostato quella cosa? Chi si è permesso? Chi ha OSATO mettere mano alle mie convinzioni?! CHI?!?! Chi si è permesso di trasformare i Bad Religion in una band di debosciati?!
Ecco, questa è stata la mia reazione al primo e attento ascolto di questo "The Dissent of Man", la stessa che avrebbe chiunque quando trova qualcosa fuori posto nella propria routine. Badate, c'è routine e routine, quella monotona, ma anche quella che ti fa vivere tranquillo. Comunque, tornando alla musica, ovunque mi giri leggo recensioni positive, gente che dice che dopo 30 anni non hanno perso smalto, che nonostante l'età non si sono mai piegati alla volontà delle case discografiche di creare i diretti antagonisti dei vari Green Day o dei loro figliocci, gli Offspring. Sono d'accordo. Dal vivo questi anzianotti spaccano ancora il culo ai passeri (cit.), però non l'ho pensata così all'ascolto di questo disco. Se volevo ascoltare un disco dei Green Day, cazzo, ne prendevo uno a caso dalla discografia originale in mio possesso e lo mettevo su. Ancora adesso non riesco a non ascoltare questo disco se non con rammarico, un po' perché per me questi non sono i Bad Religion di cui mi sono innamorato, un po' perché dopo l'ultimo New Maps of Hell del 2007 quasi si era urlato al miracolo: pezzi tiratissimi, voce grezza, batteria che dava colpi bene assestati e chitarre devastanti dopo un decennio così cosà. In questo disco la voce pare inesistente, i pezzi sono mosci e lustrati come scarpe di vernice e le chitarre elettriche lasciano spazio a distorsioni minime e, in alcuni pezzi, a chitarre acustiche come base ritmica. Si salva giusto la batteria, ma non è abbastanza. Insomma, era tutto quello che non mi aspettavo da una band del genere, che mi aveva abituato al suo essere tanto melodica nelle liriche, quanto dura negli arrangiamenti.
Altra nota stonata, in mezzo al marasma di controversie, sono i plagi e gli autoplagi. Certo, chi è fan dei Bad Religion sa che non hanno mai peccano di originalità e si sa anche che, di base, ogni tanto gli scappa un riadattamento ad un proprio pezzo. In questo disco nelle tracce 13 e 14, rispettivamente Ad Hominem e Where the Fun Is, si possono sentire gli arrangiamenti delle ormai storiche Watch it Die e 21st Century (Digital Boy). La traccia numero 6, addirittura, rischia persino di essere tacciata come un plagio (o un tributo?) bello e buono ai veterani di Orange County, i Social Distortion. Ascoltare per credere.
Insomma, tirando le somme, questo The Dissent of Man mi ha deluso, ma non è per forza da buttare via. Magari c'è chi può apprezzare un lavoro del genere, che non è assolutamente da considerare 'brutto', per carità, è di sicuro meglio di molta altra merda che si sente in giro, ma a un fan magari può far storcere il naso. Il problema di fondo è che non c'è innovazione, gliela si sarebbe potuta perdonare quella, c'è solo ripetitività e una strizzata d'occhio a un pop al quale non si erano mai avvicinati prima d'ora.
La delusione lascia spazio comunque ad un paio di chicche: Only Rain su tutte.
Tra i vari fan, sul sito ufficiale della band, si legge di uno spagnolo che accusa Brett Gurewitz di aver ammosciato il 'tiro' del gruppo... e, in effetti, da quando il proprietario della ormai famosissima e stra-fruttifera Epitaph Records è rientrato a far parte del gruppo, qualcosa è cambiato. Bah, dopo trent'anni saran stanchi. Glielo si perdona.
Fino ad un certo punto.
Mai titolo di un disco fu mai più azzeccato.
Almeno per me.
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