martedì 13 novembre 2012

A thousand days before

"La pausa di 12 anni è finita ed è ora di ricominciare la scuola. I Cavalieri della tavola del suono sono tornati!" - E COSÌ SIA!

Esce oggi il tanto atteso King Animal, il nuovo disco dei Soundgarden!

Il primo dopo quindici anni di silenzio, il primo di una band che, a scatola chiusa, non ha dato da sperare più di tanto, ma che fin dalla prima traccia, la ormai già conosciuta "Been Away For Too Long", spalanca torace ed orecchie a nuove prospettive e ripaga alla grande le aspettative che un fan medio poteva essersi fatto.

Era difficile pensare di ritrovarsi davanti a qualcosa di veramente buono, soprattutto perché, diciamocelo, tutti son felici se la 'band preferita' si riunisce dopo anni, felici di poter vedere finalmente dal vivo chi si è perso 'ai tempi d'oro' per una questione prettamente anagrafica, ma in pochi credono più di tanto in un ritorno discografico degno di nota, soprattutto dopo i risultati ottenuti da altri progetti rinati con lo stesso intento.

Prima di loro, per esempio, riunitisi nel 2007 dopo lo split del 2000, gli Smashing Pumpkins, che con il loro primo disco post-reunion avevano bastonato le aspettative di chiunque ne avesse nutrito un briciolo, con un lavoro mediocre che definire 'esercizio di mestiere' è quasi come far loro un complimento. Certo, la band di Billy Corgan si è riscattata un minimo con il disco uscito quest'anno, ma tant'è, la delusione c'è stata e a fatica ce ne si può scordare.

Non ci si può prendere il lusso di usare il nome storico di una band e giocarci a biglie, o sei cosciente del fatto che potresti rovinare un monumento costruito con fatica e dedizione e quindi fai di tutto per onorarlo, o lasci perdere. Nel caso dei quattro di Seattle, la band è stata all'altezza del nome che porta e non date per scontata la cosa, perché, appunto, non lo è affatto.

E chi l'avrebbe mai detto? No, dico... voi, dopo le ultime due uscite cacofoniche degli Audioslave e i gli ultimi due episodi da dimenticare di Chris Cornell solista, dopo i trascorsi di un Matt Cameron completamente snaturato e a mio avviso costretto dietro i tamburi dei Pearl Jam da quattordici anni a fare ciò che non gli compete, ad intraprendere un lavoro non suo, vi aspettereste un bel disco? Io, in tutta sincerità, no.

Ero piuttosto spaventato all'idea e invece con questo King Animal si rimane basiti canzone dopo canzone per il semplice fatto che ogni pezzo preso singolarmente è confezionato così bene, ma così bene che quasi ci si può tuffare indietro di un ventennio. Ci sono brani così evocativi e, allo stesso tempo, mai banali o auto-celebrativi che causano una crescita spontanea di flanella addosso. È un disco così ben suonato che pare non abbiano mai smesso di fare musica assieme in questi ultimi quindici anni.

La voce di Cornell, inaspettatamente potente e spesso priva degli echi che hanno caratterizzato gli ultimi live, è ricamata alla perfezione sulle linee di chitarra del poderoso Kim Thayil, linee che anch'esse vanno ad accompagnare e completare le sonorità ruvide di un duo ritmico di cui un po' tutti gli appassionati del genere hanno sentito la mancanza. Matt Cameron finalmente riesce a tornare dietro dei tamburi che gli rendono giustizia e il basso sporco, ma allo stesso tempo imponente e solenne, di Ben Shepherd da il tocco finale a un prodotto che di certo non cadrà nel dimenticatoio tanto facilmente.

Difficilmente riuscirete a farne a meno dopo i primi ascolti, difficilmente i pezzi su questo disco riusciranno ad esservi indifferenti. Fidatevi.

Insomma... la tavola del suono è imbandita, buon appetito!

Back in the Saddle, again!

Sono passati quasi quarant'anni dal loro esordio discografico e undici dal loro ultimo ultimo lavoro in studio. Tre raccolte - due antologie e una selezione di cover blues - separano Just Push Play, disco pubblicato nel 2001, dal nuovissimo Music From Another Dimension!, già nei negozi da questo martedì 6 Novembre.

Il disco in realtà doveva uscire lo scorso maggio, ma gli impegni del cantante come giudice ad American Idol, hanno fatto slittare la data della release.

Fra gli addetti ai lavori si è fatto un gran parlare di questo lavoro. In molti, infatti, dopo le voci messe in giro nel 2009 dal chitarrista Joe Perry riguardo la defezione di Steven Tyler e il suo capitolo definitivamente chiuso con la band, davano i cinque veterani del pop rock di Boston come finiti e le speranze di un ritorno discografico degli Aerosmith più come una bieca speranza piuttosto che come qualcosa di plausibile.

Al contrario di ogni aspettativa invece, il disco c'è e per di più si lascia ascoltare con entusiasmo!

Già dai primi mesi del 2011 infatti, il bassista storico della band, Tom Hamilton, lasciò trapelare qualche curiosità riguardo al materiale che stavano accingedosi a scrivere, e nel farlo non nascose che la band era seriamente intenzionata a lasciare da parte le 'sperimentazioni moderne' degli ultimi due lavori e ritornare a un sound più vicino alle origini, tanto da mettersi attorno ad un tavolo e pianificare il tutto affiancati dal primo produttore scelto per le registrazioni, uno dei Re Mida del mixer: Brendan O'Brien (sostituito successivamente in corso d'opera da Jack Douglas).

Non c'è da sorprendersi se ascoltando questo lavoro vi è la conferma che la band ha raggiunto l'obbiettivo che si era posta. Fin dalla prima traccia infatti,  si respira senza troppa fatica l'aria che si respirava nei pezzi che di fatto non solo hanno scritto la storia della band, ma anche di un certo tipo di rock in quelli che erano gli anni d'oro del genere.

Non esagero quando dico che alcuni pezzi sembrano quasi pezzi esclusi da dischi come Toys in the Attic o Rocks (ho detto esclusi, chevvelodicoaffare?), senza escludere i più recenti Permanent Vacation e Pump. Un pout pourri di tutto ciò che li ha resi dei pilastri della musica di un certo tipo, un mischione che l'ascoltatore medio, ma anche quello attento, non disdegnano di certo.

Sessantaquattro anni e non sentirli, insomma.

Traccia dopo traccia il sentore che si ha è che quello che si propaga nell'aria è un sound immortale, prodotto da cinque elementi che nonostante le vicessitudini personali, nonostante i problemi passati con alcool e droga, nonostante i dissidi interni, le defezioni, gli addii e i ritoni, nonostante tutto e tutti riescono comunque nell'intento di rendere la musica padrona indiscussa di tutto quanto, un collante efficace e cinvincente che rende ammaliante ogni cosa da loro prodotta.

Non siamo di fronte ad un capolavoro, chiaro, ma vorrei proprio sentire qualcuno di voi dire che gli Aerosmith sono capaci di scrivere ed eseguire brutte canzoni.

Oh baby, baby... it's fuck time

Ci eravamo lasciati con il primo capitolo della trilogia del gruppo di Berkeley. Due mesi fa, infatti, usciva ¡Uno!, disco che apriva le danze all'ennesima opera mastodontica griffata Green Day.

Opera che prosegue con ¡Dos! che arriverà nei negozi proprio oggi!

Ad un primo ascolto pare il proseguimento naturale del predecessore, ma prestando un po' più di attenzione si può notare che c'è un bel po' di carne in più sul fuoco; a partire dal sound, che risulta essere un po' più elaborato, meno spensierato, un po' più granitico negli arrangiamenti e decisamente meno ridondante del predecessore. Si può notare un piccolo sforzo nel voler far si che questo disco faccia si parte sì di una trilogia, ma con la voglia di vivere vita propria.
Mentre col primo lavoro alla mente ritornano i fausti della gioventù e del power pop dei primi dischi, ascoltando questo materiale pare che la band voglia dimostrare di saper essere anche di più. I pezzi giocosi e cazzari lasciano spazio a un sound più veloce e grezzo e ad una voce spesso in sordina come a ricordare la vecchia garage anni '70.

Con arrangiamenti un po' più 'pensati', ma allo stesso tempo granitici, questo capitolo si distingue dal precedente anche per una compattezza dei pezzi fra di loro e per dei toni a tinte un po' più scure del solito.

Le danze si aprono con "See You Tonight", un pezzo cantato e suonato in sordina con Billie Joe Armstrong accompagnato dalla sola chitarra elettrica non amplificata e un controcanto femminile, pezzo che può fuorviare l'ascoltatore che sicuramente si aspetta una seconda traccia dello stesso stampo o poco diversa, ma in realtà con "Fuck Time" prima e "Stop When the Red Lights Flash" poi non riuscirà a tirare il fiato almeno fino alla quinta traccia, "Wilde One", dove la batteria rallenta e le chitarre si quietano per 4 minuti e 19. Arrivati a "Makeout Party" invece, non si può fare a meno di pensare che potrebbe essere un pezzo qualsiasi fra quelli scelti per comporre un disco a nome Foxboro Hot Tubs, side project retrò della band.

Il tutto prosegue senza ostacoli fino alla fine con midtempo quali "Stray Heart" (primo singolo estratto da questo lavoro) o "Baby Eyes", passando per la potente trascinante "Lady Cobra" arrivando alla "Kill the DJ" di questo disco, e cioè l'inusuale e sensuale "Nightlife" che si discosta da tutto il materiale prodotto dal trittico californiano dagli anni '90 ad oggi. In questo pezzo infatti, oltre alla atipicità del cantato, vi è pure una seconda voce femminile che si fa spazio nel giro di chitarra con metrica rap. Questo a dimostrazione del fatto che il pezzo voleva essere qualcosa di diverso dal solito, riuscendoci.

Il disco si chiude con la prima vera ballata presente nella tracklist e cioè "Amy", dedicata all'artista scomparsa di recente, Amy Winehouse. Molto coinvolgente e dal sapore Beatlesiano, uno dei pezzi forti di questo lavoro.

Ottima chiusura per questo ¡Dos! che aggiunge qualcosa in più ad una discografia già abbastanza variegata, senza però stancare o riuscire a far storcere il naso ai fan di vecchia data della band. Anzi, l'ascolto di questo materiale potrebbe creare dipendenza, quindi attenti! Fatene buon uso.

Per quanto riguarda ¡Trè!, suo successore nonché disco che chiuderà la fantomatica trilogia di cui parlavano nella precedente recensione, c'è una novità. Pare infatti che a causa delle condizioni di salute di Billie Joe, la band abbia annullato le date rimanenti in questo 2012 e abbia posticipato quelle dei primi due mesi del 2013, quindi forse per rientrare nei costi di produzione, forse per dare un contentino ai fan che non potranno vederli a breve, l'uscita prevista per il 15 Gennaio è stata anticipata al prossimo 11 Dicembre.


Non ci resta che aspettare.

Meno dell'ultima volta, of course.



Stay tuned...