giovedì 19 luglio 2012

Stand Inside My Love

Inizierei questa recensione con una piccola, piccolissima premessa: i Siamese Dream, i Gish e i Mellon Collie and the Infinite Sadness in versione 2.0 li abbiamo finiti e no, non ripassate, che tanto sono fuori catalogo.

Detto questo inizierei a parlarvi della nuova fatica delle Zucche più amate anche dai bambini più schizzinosi. Il redivivo progetto di uno strano ma altrettanto eclettico Billy Corgan. In molti hanno criticato la sua scelta di riformare, non per scelta sua, una band senza i 'volti' che l'hanno resa celebre, dimenticandosi di un piccolo particolare e cioè che i momenti più prolifici della band, quelli dei '90 per intenderci, le facce che ora mancano all'appello erano comunque delle comparsate, in quanto, a parte qualche significativa eccezione, il materiale di allora era tutta farina del sacco del pelato più famoso del mondo dopo Lex Luthor.

In pochi ci credevano, in molti speravano si desse pace e mettesse a dormire definitivamente il marchio lasciando ai fan il diritto di sognare i bei tempi che furono, qualcuno invece, dopo il passo falso di Zeitgeist del 2007, primo disco in studio dopo sette anni di silenzio, non volevano crederci. Eppure eccoci qui, sono quasi passati altri cinque anni e gli Smashing Pumpkins danno alle stampe un altro disco. Dopo la piccola follia messa in atto con Teargarden by Kaleidyscope (progetto ambizioso destinato quasi totalmente alla divulgazione in rete) ecco che, senza preavviso o singoli in versione 'aperitivo', nei negozi compare la copertina a tinte blu di Oceania, la nona fatica di Corgan & co.

È inutile nasconderlo, anche io ero scettico riguardo alle produzioni musicali del pelatino, anche io sono fra quelli che ascoltando il disco del 2007 s'è chiesto "Perché?" e non vi nascondo che, riguardo quest'ultimo lavoro, son rimasto sulla difensiva fino all'ultimo, salvo poi ricredermi sulle note finali di "Wildflower", il pezzo che va chiudere questo lavoro, quando, inaspettatamente, mi è venuta voglia di rimetterlo su. Avvenimento sempre più raro negli ultimi tempi.

In sintesi (ma anche no) cosa aspettarsi da una band che negli anni '90 ha dettato le leggi sonore di un certo tipo di rock e ha bagnato il naso a parecchi 'colleghi' con i suoi testi e le delicate tematiche affrontatee? Niente. Non fatelo mai questo errore. Correreste il rischio di rimaner delusi da tutto, non solo dalla musica. Le aspettative ti fottono, lo dico sempre. BASTA! Basta. Prendete le cose come vengono e di sicuro riuscirete ad apprezzarle di più. Fatto tesoro di questo consiglio, sarete d'accordo con me che questo disco è quasi nella sua totalità un ottimo lavoro, ben lontano dal più facile e bieco esercizio di stile, ben suonato, ben strutturato, con idee brillanti e arrangiamenti più che degni del passato glorioso delle zucche. Se ci si dimentica delle aspettative, ci si dimentica delle tinte di nero, della negatività e della frustrazione che pervadono i vecchi lavori e che ce li hanno fatti amare, per accorgersi di come anche queste nuove tinte possano piacere, e anche tanto, nonostante il peso del passato che grava sulle spalle dell'autore.

Dopo la defezione del batterista Jimmy Chamberlin nel 2009, ultimo membro della band storica dopo la defezione tra il '99 e il '00 della bassista D'Arcy Wretzky e del chitarrista James Iha, in molti, visti i risultati ottenuti dopo la rinascita dell gruppo, davano per spacciato il marchio, ma soprattutto davano per esaurita la lucidità mentale dello stesso Corgan. Invece è su questo che sbatterete il muso, perché, fin dal primo pezzo, se siete degli amanti della buona musica e non solo degli Smashing Pumpkins, non potranno non piacervi le note introduttive di un pezzo come "Quasar" (l'unico pezzo che ricorda molto i primi lavori in studio). Se invece vi state chiedendo dove va a finire l'emotività, vi invito a perdervi nella splendida "Violet Rays" e nella delicata "Pinwheels". C'è anche di che esaltarsi o da metter fine a quel tipo di ascolto distratto, quello che spesso si affronta nell'ascoltare la musica rock e non degli ultimi dieci anni, e sorprendersi piacevolmente con un pezzo come la psichedelica e poliedrica "Oceania", brano che da il titolo all'opera, fino a raggiungere picchi d'insolita euforia come quelli di "The Chimera" e via dicendo. Di certo qui le idee non mancano e si sentono. Tutte forti e chiare.

Insomma, chi dava per spacciato il musicista di Chicago e la sua band, chi pensava che il tutto fosse un'operazione per pagarsi gli spicofarmaci o la droga alle amiche, si sbagliava. La Zucca è tornata, non dico risorta come la Fenice, ma di sicuro con più punti a favore che a sfavore. Le tinte dark lasciano spazio a un certo senso di luminosità, i testi non sfiorano minimamente le tematiche adolescenziali/pessimistiche di un tempo e la furia punk lascia spazio alla creatività progressive e, in questo caso specifico, ai dei mai invandenti sintetizzatori ad accompagnare le corpose e riconoscibilissime chitarre. E, vi dirò... tutto sommato ci voleva.

Non sarano gli Smashing Pumpkins di una volta, ma questo vuol dire che non ci si possa più aspettare un buon disco da parte loro?

Brutto affare il pregiudizio.
Provare per credere.

giovedì 12 luglio 2012

AFTERHOURS - Villa Arconati Festival (MI), 30 Giugno 2012

"Lasciate che ve lo dica: siete il miglior pubblico milanese da anni a questa parte... e non lo dico tanto per dire. Grazie."

Esordisce così Manuel Agnelli, appena rientrato sul palco con i 'suoi' per il primo encore, e forse forse gli si può dar ragione. Io ho poca esperienza live con gli Afterhours, ho solo quattro loro concerti all'attivo, ma una cosa è certa: se - in generale - il pubblico della band milanese ha un difetto, è quello che ad ogni data - da sempre - ha confuso quello che a conti fatti è un concerto con il 'disco a richiesta', manco fossero presenti a una diretta radiofonica di uno qualsiasi dei network nazionali più importanti e gettonati del nostro paese. Ai più son ben note le storiche liti con le prime file, quando (soprattutto ai tempi del doppio disco Ballate per Piccole Iene/Ballads for Little Hyenas) le urla che intonavano insistenti ad ogni data "I-TA-LIA-NO! I-TA-LI-A-NO! I-TA-LI-A-NO!" mandavano su tutte le furie il front-man. Ancor più abituali e insistenti, invece, sono le richieste assillanti da parte degli spettatori di pezzi storici quali "Strategie" o "Dea" che, a lungo andare, diventavano frustranti e fuori luogo. A testimonianza di questo, ricordo l'ultimo loro concerto visto, risalente all’anno scorso, dove, sempre Agnelli, dal palco si rivolge a uno spettatore di questi e, stranamente molto più gentilmente e pazientemente del solito, dice "Cosa c'è? No. No, DEA non la facciamo stasera, vieni la prossima volta che te la facciamo." e poco meno di un'ora dopo si prende gioco dello stesso dicendo "Facciamo... adesso facciamo un pezzo... facciamo DEA. Non ci credi? Eh, fai bene a non crederci."

Tutto questo per dire cosa? Semplice. Questo pubblico è stato davvero uno dei migliori visti anche dal sottoscritto. La cosa che mi ha sorpreso di più è che la scaletta è stata per lo più composta da brani recenti, solo un pezzo da Germi e un paio da Non è Per Sempre e Hai Paura del Buio?, il resto attingeva da Quello Che Non C’è in poi, e il tutto con una reazione inaspettata da parte del parterre, il quale ha reagito straordinariamente, cantando persino pezzi tratti dal loro ultimo e ostico lavoro: Padania.

Il primo punto a favore del concerto è stato quello riguardo la location. Il Villa Arconti Festival a Bollate, infatti, offre allo spettatore parcheggio e, pur essendo ai margini nell’interland milanese, possibilità di sentire i gruppi a un volume decente in quanto il tutto è circondato da campi e desolazione. Persino gli stormi di zanzare hanno dato tregua agli spettatori. Mai viste tante e tutte assieme in una volta e, soprattutto, mai visto insetti più indifferenti e pacifici! Incredibile.

L’esibizione è stata maestosa, nonostante l’esclusione di vari pezzi ‘storici’. La band ha mantenuto un tiro e un coinvolgimento quasi senza pari. L’apporto di Xavier Iriondo, poi, è sempre più cruciale. Vale da solo - senza esagerare - il prezzo del biglietto. Un personaggio vero e un musicista che sfiora la perfezione robotica pur mantenendo una furia punk senza eguali, cosa sempre più rara nel nostro paese.

Sempre riguardo l’esibizione, ero molto curioso di sentire i pezzi nuovi dal vivo e, con sommo piacere, mi ritrovo sorpreso nel vedere e ascoltare come la band sia riuscita a mantenere la forza dei brani più ostici nonostante le aspettative. Pezzi come "Ci Sarà una Bella Luce" e "Costruire Per Distruggere" acquisiscono un valore aggiunto in chiave live, quasi toccando picchi che su disco si fa molta fatica ad assimilare.

Il gruppo è molto coeso e cavalca una scaletta ‘promozionale’ che, nonostante l’esclusione di alcune perle del loro repertorio, strizza comunque l’occhio agli anthem necessari e lo fa in maniera impeccabile. Il tour approdato all’Arena Civica al quale ho potuto assistere l’anno scorso, ha dato il là a una formazione che oggi, a conti fatti, è forse la migliore che abbia mai suonato a nome Afterhours dagli esordi ad oggi. Si sente, ma soprattutto si vede. Non ho mai visto la band dell’istrionico Manuel Agnelli più coinvolta e divertita di così su un palco, ne dal vivo ne nei video di repertorio. Nessuno di loro è riuscito a mantenere la propria posizione per tutto il concerto, cosa successa in passato. Vuoi per noia, vuoi per la frustrazione causata dal pubblico che vi ho descritto nelle prime righe di questo posto.

Durante l’esibizione picchi di emotività e furia rock’n’roll l’hanno fatta da padrone, al punto da regalare allo spettatore la sensazione d’aver assistito a una rinascita storica. L’umore, la sintonia e la voglia di suonare erano ad un livello tale che pareva di assistere all’esibizione di una band di esordienti. Nemmeno io, che li ascolto e li seguo da anni, riuscivo a credere ai miei occhi.

In sintesi: se capitano dalle vostre parti, non perdete l’occasione di andarli a sentire. Ne vale e ne varrà sempre la pena. Anche se non suoneranno mai a Sansiro.

Fidatevi.

SETLIST
- Metamorfosi
- Terra di Nessuno
- La Verità che Ricordavo
- Male di Miele
- Costruire Per Distruggere
- Spreca Una Vita
- Padania
- Ci Sarà una Bella Luce
- Ballata Per la Mia Piccola Iena
- È Solo Febbre
- Bungee Jumping
- Il Paese è Reale
- Sulle Labbra
- Nostro Anche Se Ci Fa Male
- Io So Chi Sono
- La Terra Promessa Si Scioglie di Colpo

ENCORE
- Tutto Fa un Po' Male
- La Vedova Bianca
- Improvvisazione (Jam Session)
- Bye Bye Bombay

ENCORE, 2
- Pelle
- Quello Che Non C'è
- Posso Avere il Tuo Deserto?

ENCORE, 3
- Voglio la Pelle Splendida