domenica 19 giugno 2011

Distorsioni sociali negli anni '30? Perché no.

"E il settimo giorno, Dio riposò"

Non vorrei peccare di blasfemia, ma i suoi fan (come qualunque altro fan) lo considerano un Dio, sette sono gli anni che separano questo Hard Time and Nursery Rhymes dal precedente lavoro in studio, Sex, Love and Rock 'N' Roll e, se permettete, sette anni per un disco sono quelli che in molti definirebbero tempi biblici. Mike Ness, ormai è innegabile, considera i propri dischi come figli e pare appunto che il concepimento e il parto di questi ultimi siano una cosa tutt'altro che facile. In quasi trent'anni di carriera basti pensare che la band ha sfornato solo sette album in studio, un paio di EP, un live e un greatest hits.
Ci ho messo un po' a decidermi a scrivere di questo disco, anche perché ormai è disponibile nei negozi da sei mesi abbondanti. Il perché? È difficile essere onesti quando si parla di un gruppo che adori (ok, la smetto con i riferimenti alla divinità, promesso) e quindi ho lasciato sbollire l'entusiasmo adolescenziale dei primi ascolti per poter dire la mia sull'ultimo lavoro dei Social Distortion in maniera lucida. Complice di questa mia decisione anche l’essere riuscito a sentire gran parte delle canzoni in esso contenute al Rock in IdRho, tenutosi mercoledì scorso a Rho, appunto. So già che non ci riuscirò.

Cominciamo.

Ci troviamo davanti a quello che reputo un ottimo disco di rock 'n' roll senza la pretesa di voler essere il lavoro innovativo o quella cosa che nessuno ha saputo suonare fino ad oggi. La band di Ness è ormai un marchio di fabbrica consolidato, una garanzia, uno di quei gruppi che riconosci fin da subito, anche nelle sonorità delle band che da questa hanno preso spunto per iniziare, una macchina della quale conosci ogni minimo dettaglio, a partire dal suono del suo motore. Questo disco lo riconosci ad occhi chiusi, fin dalla prima nota. E, diciamolo pure, è questo che io amo di questa band: l’essere una conferma, a volte scontata, ma comunque una conferma. Alla fine tutti abbiamo bisogno di conferme, e a me non interessa che il rock sia innovativo, deve centrare nel segno e queste undici tracce lo fanno. Musica suonata nella maniera più classica, un rock ‘n’ roll basico e distorto al punto giusto, che prende allo stomaco per le sue melodie e i suoi versi e che, al contempo, ti tira uno schiaffo con i suoi riff grezzi e diretti. Un disco che si lascia amare dalla prima all’ultima nota, senza nessuna pretesa, solo quella di essere ascoltato e amato. Canzoni ben confezionate, che arrivano subito al punto senza girarci troppo attorno, strumenti ben dosati e una voce, quella di Ness, che ti riporta a epoche che puoi solo immaginare. Basti pensare al video promozionale del primo e, a quanto pare, unico singolo pubblicato fino ad oggi per questo disco, Machine Gun Blues (“Per questo pezzo abbiamo girato un video… molto carino, ma che MAI, MAI, MAI verrà trasmesso da MTV” - Mike Ness, Rho - 15.06.2011). Ambientato nella California noire degli anni ’30, tutta mitra negli astucci delle chitarre, vestiti gessati, cappelli e scarpe di vernice, questo pezzo ti trascina in un mood tutto fatto di sguardi fieri e stecchino in bocca. In poche parole: il sound dell’American Gangster. Gli ingredienti che fanno di questo lavoro, in un 2011 ancora in corso, il disco dell’anno. Per quanto riguarda i miei gusti, ovviamente.